In caso di diffamazione, siti internet e motori di ricerca dovranno cancellare “contenuti diffamatori” o dati personali della vittima. Nel caso in cui non si ottemperi all’obbligo il magistrato può comunque disporlo. A prevederlo è l’emendamento di FI al ddl diffamazione approvato in commissione Giustizia Senato che assicura di fatto il “diritto all’oblio”.
Nella norma si dice che, “fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, l’interessato può chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione” della legge sulla diffamazione. L’interessato, si legge ancora nella norma, “in caso di omessa cancellazione dei dati” può chiedere “al giudice di ordinare ai siti internet e ai motori di ricerca la rimozione delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione”. In caso di “morte dell’interessato, la facoltà e i diritti” della persona oggetto di diffamazione potranno essere esercitati dagli eredi o dal convivente”.
Di fatto, si spiega in commissione, è una delle norme che contribuisce a garantire quel “diritto all’oblio” difeso anche dalla recente sentenza della Corte Ue del 13 maggio 2014.
Passato il principio in commissione, osserva Caliendo, manca però ancora un’intesa sul quantum della sanzione nel caso in cui i siti o i motori di ricerca non ottemperino alla richiesta di cancellazione dei dati da parte dei magistrati. Al momento tra i commissari si starebbe parlando di una cifra che potrebbe oscillare dai 5 ai 25mila euro.